Gerusalemme: la Via Dolorosa

I - Gerusalemme: Via dolorosa

Tracce della nostra fede

"Vuoi accompagnare da vicino, molto da vicino, Gesù?... Apri il Santo Vangelo e leggi la Passione del Signore. Leggere soltanto? No: vivere. La differenza è grande. Leggere è ricordare una cosa passata; vivere è trovarsi presente in un avvenimento che sta accadendo proprio adesso, essere con gli altri in quelle scene".

 

Così, lungo i secoli, i santi — e con essi moltitudini di cristiani — hanno contemplato la morte redentrice di Gesù sulla Croce e la sua Resurrezione: il mistero Pasquale, che è al centro della nostra fede (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 571). Col passare del tempo, la meditazione di quei fatti ha dato origine ad alcune devozioni, tra le quali spicca la Via Crucis.

Come sappiamo, questo esercizio consiste nel considerare con spirito di contrizione e compassione l'ultima e più dolorosa parte dei patimenti del Signore, accompagnandolo spiritualmente nel cammino che ha percorso, caricato della croce, dal pretorio di Pilato fino al Calvario, e sul Calvario da quando fu inchiodato sul patibolo fino alla sua deposizione nel sepolcro.

La pratica della Via Crucis si fonda sulla venerazione per i Luoghi Santi, dove non c'era bisogno di immaginarsi gli scenari della passione, che si potevano vedere e percorrere fisicamente. Una pia leggenda — raccolta nel De transitu Mariae, un apocrifo siriaco del V secolo— racconta che la Santissima Vergine camminava ogni giorno per i luoghi dove Suo Figlio aveva sofferto e sparso il suo sangue (Cfr. Dictionnaire de spiritualité, II, col. 2577).
Attraverso San Gerolamo, è arrivata fino a noi la testimonianza del pellegrinaggio in Palestina che fece la nobile Santa Paola tra gli anni 385 e 386: a Gerusalemme, "visitava tutti i luoghi con tanto fervore e impegno che, se non avesse avuto fretta per vedere gli altri, non la si sarebbe staccata dai primi. Prostrata davanti alla Croce, adorava il Signore come se lo stesse vedendo carico di essa. Entrò nel sepolcro dell'Anastasis e baciava la pietra che l'angelo aveva rimosso. Per la sua fede, accarezzava con la bocca il posto stesso in cui il Signore giacque, come un assetato che ha trovato le acque desiderate. Di quante lacrime ha sparso lì, di quanti gemiti di dolore ha dato, è testimone tutta Gerusalemme, ne è testimone il Signore stesso che lei pregava" (San Gerolamo, Epitaphium sanctae Paulae, 9).

Grazie alla pellegrina Egeria, che andò in Terrasanta alla fine del IV secolo, conosciamo anche diversi particolari di alcune cerimonie liturgiche che si tenevano a Gerusalemme nella stessa epoca. Molte di esse consistevano nella lettura dei racconti evangelici collegati a ciascun luogo, la preghiera di qualche salmo e il canto di inni. Inoltre, descrivendo le funzioni sacre del Giovedì e del Venerdì Santo, Egeria narra che i fedeli andavano in processione dal Monte degli Ulivi fino al Calvario: "si va verso la città a piedi, con inni, e si arriva alla porta nell'ora in cui comincia a distinguersi un uomo da un altro; poi, all'interno della città, sono presenti tutti, nessuno escluso, grandi e piccini, ricchi e poveri; nessuno tralascia di partecipare, specialmente quel giorno, nella vigilia fino all'aurora. In questo modo si accompagna il vescovo dal Getsemani fino alla porta, e da lì, attraversando tutta la città, fino alla Croce" (Itinerarium Egeriae, XXXVI, 3 [CCL 175, 80]).

Secondo altre testimonianze posteriori, pare che la strada per la quale Gesù era passato attraverso le vie di Gerusalemme si andò precisando poco a poco, mentre si determinavano anche le stazioni, cioè i posti in cui i fedeli si fermavano per contemplare ciascuno degli episodi della Passione. I crociati –nell'XI e XII secolo– e i francescani – dal XIV secolo in poi– contribuirono in gran parte a fissare queste tradizioni. Così nella Città Santa, durante il XVI secolo, si seguiva già lo stesso itinerario che si percorre attualmente, noto come Via Dolorosa, con la suddivisione in 14 stazioni.

Consuetudine
A partire da allora, fuori di Gerusalemme si estese la consuetudine di ergere Vie Crucis perché i fedeli considerassero queste scene, a imitazione dei pellegrini che andavano personalmente in Terrasanta: questa consuetudine si diffuse prima in Spagna –grazie al beato Álvaro de Córdoba, domenicano–, e da lì passò in Sardegna e più tardi al resto d'Europa. Tra i promotori di questa devozione, San Leonardo di Porto Maurizio occupa un posto importante: dal 1731 al 1751, nel corso di alcune missioni in Italia, eresse più di 570 Vie Crucis; e fu il predicatore della cerimonia quando Benedetto XIV fece collocare la Via Crucis del Colosseo, il 27 dicembre del 1750. I Romani Pontefici hanno incoraggiato questa pratica pia anche concedendo indulgenze a chi la compie.

La contemplazione dei patimenti del Signore spinge al pentimento dei propri peccati, e questo muove all'espiazione e alla riparazione.

L'immediatezza delle scene rivissute nella Via Dolorosa può aiutare l'anima ad incendiarsi ancor più di amore di Dio. Certamente, è impossibile sapere se questo itinerario coincide con il tragitto esatto del Signore, perché il tracciato delle vie risale in linea generale alla ricostruzione romana di Gerusalemme realizzata ai tempi di Adriano, nel 135. Sarebbe necessaria una ricerca archeologica che raggiungesse il livello della città nella prima metà del I secolo, e neppure così si risolverebbero tutti gli interrogativi. A parte questa mancanza di certezza, la Via Dolorosa è la Via Crucis per eccellenza, quella che hanno percorso i cristiani per secoli. Quanto alle 14 stazioni, la maggior parte sono tratte direttamente dal Vangelo, e altre ci sono arrivate per la pia tradizione del popolo cristiano. Le seguiremo con l'aiuto di San Josemaría, che le ha meditate con particolare espressività.

 

I Stazione: Gesù è condannato a morte

Ogni venerdì, alle tre del pomeriggio, a Gerusalemme si svolge una processione che percorre la Via Dolorosa. La guida il Custode di Terra Santa o un suo rappresentante, accompagnato da numerosi pellegrini, fedeli residenti in Gerusalemme e frati francescani. Il punto di partenza è il cortile della scuola islamica di El–Omariye, situata nell'angolo nord-occidentale della spianata del Tempio. Dato che nel I secolo lì si ergeva la Torre Antonia, che accoglieva la guarnigione romana acquartierata nella città, questo luogo viene tradizionalmente identificato con il Pretorio in cui avvenne il giudizio di Gesù davanti al governatore Ponzio Pilato.

"La sentenza sta per essere pronunciata. Pilato dice in tono di burla: Ecce rex vester (Gv 19, 14). I sommi sacerdoti rispondono furenti: Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare (Gv 19, 15). Signore! Dove sono i tuoi amici? Dove, i tuoi sudditi? Ti hanno abbandonato. È uno sbandamento che dura da venti secoli... Tutti fuggiamo dalla Croce, dalla tua Santa Croce. Sangue, angoscia, solitudine e un'insaziabile fame di anime... sono il corteggio della tua regalità" (Via Crucis, I Stazione).

 

II Stazione: Gesù è caricato della Croce

Uscendo dalla scuola e attraversando la Via Dolorosa, si arriva al convento francescano della Flagellazione. Si tratta di un complesso costruito intorno a un ampio chiostro, con lo Studium Biblicum Franciscanum di fronte, e due chiese ai lati: a destra, quella della Flagellazione, ricostruita nel 1927 sulle rovine di un'altra del XII secolo; e a sinistra, quella della Condanna, eretta nel 1903. Sul muro esterno di questa chiesa, sulla strada, è segnalata la seconda stazione:

"ed egli, portando la Croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota (Gv 19,17). Come per una festa, hanno preparato un corteo, una lunga processione. I giudici vogliono assaporare la vittoria con un supplizio lento e spietato. Gesù non incontrerà la morte in un batter d'occhio... Gli viene dato tempo perché il dolore e l'amore continuino a identificarsi con la Volontà amabilissima del Padre" (Via Crucis, II Stazione).

Un po' più avanti, la Via Dolorosa è attraversata da un arco a tutto sesto con un corridoio costruito sopra. È noto popolarmente come l'arco dell'Ecce Homo, e ricorda il luogo in cui Pilato presentò Gesù al popolo dopo la flagellazione e la coronazione di spine. In realtà, è il vano centrale di un arco di trionfo del quale è conservata anche la Porta del lato nord, all'interno del Convento delle Dame di Sion: funge da pala d'altare nella basilica dell'Ecce homo, terminata nel XIX secolo.

Così come questo elemento era considerato appartenente alla Torre Antonia, vari pavimenti di pietra nella stessa zona erano solitamente identificati con il luogo chiamato Litostroto (Gv 19,13): sono visibili soprattutto nella Chiesa della Condanna e nel Convento delle Dame di Sion. In effetti, sia l'arco che i pavimenti sono di origine romana, anche se dovrebbero essere datati un po' più tardi, all'epoca di Adriano.

Quando si percorre la Via Dolorosa, passando per questo punto viene in mente quanto Cristo aveva sofferto già prima di caricarsi la Croce: Pilato, desiderando contentare il popolo, libera loro Barabba e ordina che flagellino Gesù.

"Legato alla colonna, pieno di piaghe. Risuonano i colpi dei flagelli sulla sua carne lacerata, sulla sua carne senza macchia che soffre per la tua carne peccatrice. — E ancora colpi. Cresce il furore. Ancora… La crudeltà umana è al colmo. Finalmente, esausti, slegano Gesù. — E il corpo di Cristo soccombe al dolore e cade a terra come un verme, fiaccato e mezzo morto" (Santo Rosario, II mistero doloroso).

"Poi portano il mio Signore nel cortile del pretorio, e lì convocano tutta la coorte (Mc 15, 16). — La soldataglia brutale ha denudato il suo corpo purissimo. — Con uno straccio di porpora, vecchio e sudicio, ricoprono Gesù. — Nella sua mano destra, per scettro, una canna… La corona di spine, confitta con violenta, ne fa un Re di burla… Ave Rex Iudaeorum! Salve, Re dei giudei! (Mc 15, 18). Lo percuotono ferendolo al capo. E lo schiaffeggiano… e gli sputano addosso. Incoronato di spine e vestito con cenci di porpora, Gesù viene mostrato al popolo: Ecce homo! Ecco l'uomo" (Ibid., III mistero doloroso).

"Il cuore si commuove nel contemplare la Santissima Umanità del Signore ridotta a una piaga... Guarda Gesù. Ogni squarcio è un rimprovero; ogni colpo di flagello, un motivo di dolore per le tue offese e per le mie".

 

III Stazione: Gesù cade per la prima volta

La Via Dolorosa continua in leggera discesa fino a incrociarsi con una strada che viene dalla Porta di Damasco; si chiama El-Wad – La Valle – e segue l'antico letto del torrente Tiropeon. Girando a sinistra, quasi all'angolo, si trova una piccola cappella, appartenente al Patriarcato armeno cattolico, con la terza stazione.

"Il corpo estenuato di Gesù ormai vacilla sotto la Croce enorme. Dal suo Cuore amantissimo giunge appena un soffio di vita alle sue membra piagate.
A destra e a sinistra il Signore vede questa folla che vaga come un gregge senza pastore. Potrebbe chiamarli a uno a uno, con i loro nomi, con i nostri nomi. Vi sono lì in mezzo quelli che si erano cibati alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, quelli che erano stati risanati dai loro mali, quelli che erano stati ammaestrati sulla riva del lago, sulla montagna e nei portici del Tempio.

Un dolore acuto trapassa l'anima di Gesù, e il Signore cade a terra estenuato. Tu e io non possiamo dir nulla: ormai sappiamo perché la Croce di Gesù pesa tanto. E piangiamo le nostre miserie e anche la tremenda ingratitudine del cuore umano. Dal fondo dell'anima sgorga un atto di vera contrizione, che ci fa uscire dalla prostrazione del peccato. Gesù è caduto perché noi ci risolleviamo: una volta e sempre" (Ibid., III Stazione). 

 

IV Stazione: Gesù incontra Maria, sua Santissima Madre

Avanzando pochi metri, si arriva alla quarta stazione, dove c'è una chiesa, pure degli armeni, nella cui cripta c'è l'Adorazione perpetua del Santissimo Sacramento. Nostra Signora non abbandona Suo Figlio durante la Passione; in effetti, la vedremo più avanti sul Golgota.

"Gesù si è appena rialzato dalla sua prima caduta, quando incontra la sua Santissima Madre, ai bordi della strada che stava percorrendo. Maria guarda Gesù con immenso amore, e Gesù guarda sua Madre; i loro occhi si incontrano, ciascuno dei due cuori versa nell'altro il proprio dolore (...). Nella buia solitudine della Passione, la Madonna offre a suo Figlio un balsamo di tenerezza, di unione, di fedeltà; un «sì» alla volontà divina.
Dando la mano a Maria, anche tu e io vogliamo consolare Gesù, accettando sempre e in tutto la Volontà di suo Padre, di nostro Padre" (Ibid., IV Stazione).

 

V Stazione: Simone Cireneo aiuta Gesù a portare la Croce

Subito si lascia la strada di El-Wad e si gira a destra, per tornare di nuovo alla Via Dolorosa. Questo pezzo è molto caratteristico della città vecchia: stretto e ripido, con scalini ogni pochi passi e numerosi archi che incrociano la strada al di sopra, unendo gli edifici dei due lati. Proprio all'inizio, a sinistra, c'è una cappella che già nel XIII secolo era dei Francescani, dove si ricorda la quinta stazione: un uomo che ritornava dai campi e passava di lì, chiamato Simone di Cirene, padre di Alessandro e di Rufo, fu costretto a portare la Croce di Gesù (Mc 15, 21).

"Nell'insieme della Passione, questo aiuto rappresenta ben poco. Ma a Gesù basta un sorriso, una parola, un gesto, un po' di amore per riversare copiosamente la sua grazia sull'anima dell'amico. (...).

A volte la Croce compare senza che la cerchiamo: è Cristo che chiede di noi. E se per caso di fronte a questa Croce inattesa, e forse per questo più oscura, il cuore mostrasse ripugnanza... non dargli consolazioni. E, qualora ne chieda, tu, pieno di nobile compassione, digli piano, come in confidenza: cuore, cuore in Croce! cuore in Croce!" (Via Crucis, V stazione).

 

VI Stazione: una pia donna asciuga il volto di Gesù

Sappiamo poco di questa donna. Una tradizione basata su testi apocrifi l'identifica con l'emorroissa di Cafarnao, chiamata Berenice; tradotto in latino, il suo nome si trasformò in Veronica. Nel medioevo la sua casa viene localizzata qui, verso la metà della strada, dove oggi c'è una piccola cappella con l'entrata diretta dalla via e sopra una Chiesa greco cattolica.

"Una donna, di nome Veronica, si fa strada tra la folla; porta un lino bianco ripiegato, con il quale terge devotamente il viso di Gesù. Il Signore lascia impresso il suo Santo Volto sulle tre parti del velo. Il volto amato di Gesù, che aveva sorriso ai bambini e si era trasfigurato di gloria sul Tabor, ora è come nascosto dal dolore. Ma questo dolore è la nostra purificazione; il sudore e il sangue che offuscano e sfigurano le sue fattezze, sono la nostra pulizia. Signore, fa' che io mi decida a strappare, con la penitenza, la triste maschera che mi sono forgiato con le mie miserie... Allora, solo allora, attraverso il cammino della contemplazione e dell'espiazione, a poco a poco la mia vita ricopierà fedelmente i lineamenti della tua vita. Assomiglieremo sempre più a Te. Saremo altri Cristi, lo stesso Cristo, ipse Christus" (Ibid., VI Stazione).

 

VII Stazione: Gesù cade per la seconda volta

Al termine della salita, la Via Dolorosa sbocca nel Khan ez-Zait, – il mercato dell'olio– , l'animato e affollato bazar che viene dalla porta di Damasco. Delimita i quartieri musulmano e cristiano, e coincide con l'antico Cardo Massimo, la strada principale della Gerusalemme romana e bizantina. La settima stazione si trova nell'incrocio, dove c'è una cappellina di proprietà dei Francescani.

"Gesù cade per il peso del legno... Noi, per l'attrazione delle cose della terra. Preferisce cadere anziché lasciare la Croce. In questo modo Cristo sana il disamore che ci abbatte" (Ibid., VII stazione).

 

VIII Stazione: Gesù consola le figlie di Gerusalemme

A pochi metri dal luogo della seconda caduta, prendendo la via di San Francesco, che sale verso ovest e prolunga la Via Dolorosa, si arriva all'ottava stazione. "Fra la gente che osserva il passaggio del Signore, vi sono alcune donne che non possono trattenere la compassione e scoppiano in lacrime (…).

Ma il Signore vuole dirigere questo pianto verso un motivo più soprannaturale, e le invita a piangere per i peccati che sono la causa della Passione e che attireranno il rigore della giustizia divina: 
– Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli... Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco? (Lc 23, 28; 31).

I tuoi peccati, i miei, quelli di tutti gli uomini, si alzano in piedi. Tutto il male che abbiamo fatto e tutto il bene che abbiamo tralasciato di fare. Il panorama desolante dei delitti e delle infamie innumerevoli che avremmo commesso, se Lui, Gesù, non ci avesse confortato con la luce del suo sguardo amabilissimo. È ben poco una vita per riparare!" (Ibid., VIII Stazione).

 

IX Stazione: Gesù cade per la terza volta

Per andare alla nona stazione forse anticamente c'era un passaggio più diretto, ma attualmente è necessario tornare sui propri passi fino al bazar, seguirlo per alcuni metri in direzione sud, e prendere una scala che si apre sul lato destro della strada. Alla fine di un vicolo, una colonna segnala la terza caduta. È collocata in un angolo, tra un accesso alla terrazza del convento etiope e la porta della chiesa copta di Sant'Antonio.

"Il Signore cade per la terza volta, sul pendio del Calvario, quando mancano solo quaranta o cinquanta passi alla vetta. Gesù non si regge in piedi: gli mancano le forze e giace stremato per terra" (Ibid., IX Stazione).


"Adesso capisci quanto hai fatto soffrire Gesù, e ti riempi di dolore: com'è semplice chiedergli perdono, e piangere i tuoi passati tradimenti! Il tuo petto non basta a contenere le ansie di riparazione! Bene. Ma non dimenticare che lo spirito di penitenza consiste principalmente nel compiere, costi quel che costi, il dovere di ogni istante" (Ibid., IX Stazione).

Il luogo in cui si ricorda l'ultima caduta del Signore è a pochi metri dalla basilica del Santo Sepolcro. Di fatto, le ultime cinque stazioni della Via Dolorosa si trovano all'interno della Basilica. Per arrivarci una possibilità è tornare al bazar e percorrere alcune strade fino ad arrivare alla piazzetta che si apre di fronte all'entrata, sulla facciata sud; questo è l'itinerario abituale della processione del venerdì. L'altra possibilità, più breve, consiste nell'attraversare la terrazza del convento etiope – che a sua volta è il tetto di una delle cappelle inferiori della basilica – e scendere attraversando l'edificio, che ha un'uscita diretta sulla piazza, vicino al luogo del Calvario. Lo visiteremo, per meditare le scene successive della Passione, nel prossimo articolo.


 

 

II - Gerusalemme: il Calvario

Tracce della nostra fede

La nona stazione della Via Dolorosa ci ha lasciato molto vicino al Calvario. Fino a questo momento avevamo accompagnato Gesù con la Croce sulle spalle lungo un itinerario che ci è stato trasmesso lungo i secoli dalla pietà del popolo cristiano. Ora ci troviamo di fronte al luogo centrale della nostra fede, che potremmo considerare il più sacro della Terra Santa: il luogo dove Gesù Cristo fu crocifisso, morì e fu sepolto, e il terzo giorno resuscitò dai morti (Simbolo degli Apostoli).

Appena una decina di metri separano il Calvario dalla tomba del Signore. Tutta la zona è inclusa nella basilica del Santo Sepolcro, chiamata anche della Resurrezione dai cristiani orientali. Agli occhi del pellegrino si presenta con una architettura singolare, che può anche essere considerata disordinata o caotica. All’esterno è formata da vari volumi sovrapposti e aggiunti, tra i quali spicca un campanile tronco; sopra questo cumulo di edificazioni e terrazze, si innalzano due cupole, una più grande dell’altra, che caratterizzano il profilo di Gerusalemme. L’interno è configurato come un complesso insieme di altari e cappelle, grandi e piccole, delimitate da muri o aperte, disposte su differenti livelli comunicanti per mezzo di scale.

Questo aspetto sorprendente non è altro che il risultato della sua difficile storia: forse nessun altro luogo al mondo è passato per tante costruzioni, demolizioni, ricostruzioni, incendi, terremoti, restauri ... A questo si deve aggiungere che la proprietà della basilica è condivisa tra la Chiesa cattolica – rappresentata dai francescani, che custodiscono i Luoghi Santi dal 1342 – e le Chiese ortodosse greca, armena, copta, siriaca, etiopica, che godono di differenti diritti.


Il luogo del Cranio

I Vangeli ci hanno trasmesso che presero Gesù e lo condussero al luogo del Golgota, che significa “luogo del Cranio” (Mc 15, 22. Cfr. Mt 27, 33, Lc 23, 33; e Gv 19, 17). Lì lo crocifissero con altri due, uno a ciascun lato e Gesù nel mezzo (Gv 19, 18). Questo luogo si trovava vicino alla città (Gv 19, 20); quindi fuori dalla cinta muraria. Nel luogo dove fu crocifisso c’era un orto, e nell’orto un sepolcro nuovo in cui ancora non era stato sepolto nessuno (Gv 19, 41). Quando Gesù morì, poiché era la Parasceve dei giudei e il sepolcro era vicino, lo deposero lì (Gv 19,42).

Le ricerche archeologiche hanno trovato altre tombe della stessa epoca nelle vicinanze del Calvario, alle quali si può accedere dalla basilica. Questo fatto conferma che allora tutta quell’area si trovava fuori da Gerusalemme, poiché la legge giudaica proibiva la sepoltura all’interno delle mura. Alcuni studiosi hanno anche identificato la zona con una vecchia cava abbandonata, della quale il Golgota sarebbe stato il punto più alto: questo concorderebbe con varie testimonianze primitive, che descrivono un terreno roccioso, con numerosi frammenti di pietra. In sintesi, per quanto oggi il Santo Sepolcro occupi quasi il centro della Città Vecchia, dobbiamo immaginare il luogo della crocifissione all’esterno, in vista delle mura e di una strada di passaggio, sopra una rupe che si innalzava vari metri dal terreno, tra altre rupi più piccole, orti cinti da muri e sepolcri.

I cristiani di Gerusalemme conservarono la memoria del luogo, in modo che non si smarrì malgrado le difficoltà. Nell’anno 135, dopo aver soffocato la seconda ribellione dei giudei contro Roma, l’imperatore Adriano ordinò che la città fosse rasa al suolo, e sopra ne costruì una nuova: Aelia Capitolina. L’area del Calvario e del Santo Sepolcro, inclusa nella nuova superficie urbana, fu ricoperta con un terrapieno, e lì si innalzò un tempio pagano. Riferisce San Gerolamo nel 395, raccogliendo una tradizione anteriore: “dai tempi di Adriano fino all’impero di Costantino, per centottanta anni, nel luogo della resurrezione si dava culto a una statua di Giove, e sulla roccia della croce a una immagine di marmo di Venere, posta lì dai pagani. Senza dubbio gli autori della persecuzione si immaginavano che, se avessero contaminato i luoghi sacri per mezzo degli idoli, ci avrebbero tolto la fede nella resurrezione e nella croce” (San Gerolamo, Ad Paulinum presbyterum, Ep. 58, 3).


La stessa costruzione che nascose il Golgota alla venerazione cristiana contribuì a conservarlo fino al IV secolo. Nel 325, il vescovo di Gerusalemme Macario chiese e ottenne il permesso di Costantino per demolire i templi pagani innalzati sui Luoghi Santi. Sopra il Sepolcro di Gesù e il Calvario, una volta scoperti, si progettò una opera magnifica: “conviene pertanto – scrisse l’imperatore a Macario – che la tua prudenza disponga e preveda tutto il necessario, in modo che non solo si realizzi una basilica migliore di qualsiasi altra, ma che anche tutto il resto sia tale che tutti i monumenti più belli di tutte le città siano superati da questo edificio” (Eusebio di Cesarea, De vita Constantini, 3, 31).

Grazie alle fonti documentarie e agli scavi archeologici – realizzati soprattutto nel XX secolo – sappiamo che il complesso era costituito di tre parti, disposte da ovest a est: un mausoleo circolare con il sepolcro al centro, chiamato Anastasis – resurrezione – ; un cortile quadrangolare con portici su tre dei quattro lati, a cielo aperto, dove stava la rupe del Calvario; e una basilica per celebrare l’Eucaristia, con cinque navate e un atrio, nota come Martyrion – testimonianza. La chiesa fu dedicata nel 336. Di questo antico splendore costantiniano resta ben poco: danneggiato dai persiani nel 614 e restaurato dal monaco Modesto, il complesso subì terremoti e incendi fino a che alla fine fu distrutto nel 1009 per ordine del sultano El-Hakim; la forma attuale si deve ai restauri dell’imperatore bizantino Costantino Monomaco – XI secolo –, all’opera dei crociati – nel XII secolo – e ad altre trasformazioni posteriori.


Al termine della Via Dolorosa

San Josemaría, con animo contemplativo: “Nella meditazione, la Passione di Cristo esce dalla cornice fredda della storia o della considerazione devozionale, per presentarsi dinanzi agli occhi, terribile, opprimente, crudele, sanguinosa..., piena d'Amore” (Solco, 993).

 

X Stazione: Gesù è spogliato delle sue vesti

Appena entrati nel Santo Sepolcro, a destra, due scale di pietra molto ripide salgono alle cappelle del Golgota, il luogo del supplizio. Si trovano a cinque metri di altezza sopra il livello della basilica. Una volta sopra, di solito i pellegrini contemplano la decima stazione.

Quando il Signore giunge al Calvario, gli danno da bere del vino mescolato con fiele, come narcotico, per attutire un po' il dolore della crocifissione. Ma Gesù, dopo averlo assaggiato per ringraziare del pietoso servizio, non ha voluto berlo (cfr Mt 27, 34). Si consegna alla morte con la piena libertà dell'Amore.

Poi, i soldati spogliano Gesù delle sue vesti (…) e le dividono in quattro parti. Ma la tunica è senza cuciture, perciò dicono fra loro: – Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca (Gv 19, 24).
È lo spogliamento, la svestizione, la povertà più assoluta. Non è restato nulla al Signore, eccetto un legno.
Per giungere a Dio, la via è Cristo; ma Cristo è sulla Croce, e per salire sulla Croce bisogna avere il cuore libero, distaccato dalle cose della terra.  (Ibid., X Stazione).

 

XI Stazione: Gesù è inchiodato sulla Croce

Alcuni passi separano la decima dall’undicesima stazione, ricordata con un altare. La scena della crocifissione vi è rappresentata sopra, in un mosaico. La cappella appartiene ai francescani della Custodia di Terra Santa.

Ormai hanno confitto Gesù al legno. I carnefici hanno eseguito spietatamente la sentenza. Il Signore ha lasciato fare, con infinita mansuetudine.

Tanta sofferenza non era necessaria. (…). Ma ha voluto soffrire tutto questo per te e per me. E noi, non sapremo corrispondere?
È molto probabile che qualche volta, a tu per tu con un crocifisso, ti vengano le lacrime agli occhi. Non trattenerti... Ma fa' in modo che il pianto si concluda in un proposito.  (Ibid., XI Stazione).

 

XII Stazione: Gesù muore sulla Croce

A sinistra della cappella della crocifissione, troviamo la cappella del Calvario, proprietà della Chiesa greco-ortodossa. Si eleva sopra la roccia venerata, visibile ai lati dell’altare attraverso un vetro. Sotto, un disco d’argento aperto al centro indica la buca in cui fu innalzata la Croce.

In alto, sulla Croce, è scritta la causa della condanna: Gesù Nazareno Re dei giudei (Gv 19, 19). E tutti i passanti lo ingiuriano e si burlano di Lui.
— Se è il re di Israele, scenda ora dalla Croce (Mt 27, 42).
Uno dei due malfattori interviene in difesa:
— Costui non ha fatto alcun male... (Lc 23, 41).
Quindi rivolge a Gesù un'umile richiesta, piena di fede:
— Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno (Lc 23, 42).
— In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso (Lc 23, 43).
Accanto alla Croce vi è sua Madre, Maria, con altre sante donne. Gesù la guarda, poi guarda il discepolo amato, e dice alla Madre:
— Donna, ecco tuo figlio.
Poi dice al discepolo:
— Ecco tua madre (Gv 19, 26-27).
Si spengono gli astri del cielo, e la terra resta sommersa nelle tenebre. Sono quasi le tre, quando Gesù esclama:
— Elì, Elì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 46).
Poi, sapendo che ogni cosa era sul punto di concludersi, per dare compimento alla Scrittura dice:
— Ho sete (Gv 19, 28).
I soldati imbevono di aceto una spugna e, dopo averla messa su una canna di issopo, gliela avvicinano alla bocca. Gesù assapora l'aceto, ed esclama:
— Tutto è compiuto (Gv 19, 30).
Il velo del tempio si squarcia nel mezzo e la terra trema quando il Signore grida a gran voce:
— Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc 23, 46).
E spira.
Ama il sacrificio, che è fonte di vita interiore. Ama la Croce, che è altare del sacrificio. Ama il dolore, fino a bere, come Cristo, la feccia del calice.

 (Ibid., XII Stazione).

Nella parte della roccia visibile a destra, si osserva una fenditura attribuita al terremoto che si verificò al momento della morte di Cristo: E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono (Mt 27, 50-51). La fenditura si può vedere anche in un’altra cappella immediatamente sottostante, dedicata ad Adamo. Secondo una pia tradizione a cui fa riferimento Origene nel terzo secolo, lì sarebbe stata la tomba del primo uomo; aprendosi la terra, il sangue del Signore avrebbe raggiunto i suoi resti, facendone il primo redento. Nell’iconografia cristiana, questa leggenda ispirò l’abitudine di porre un teschio ai piedi della Croce.

 

XIII Stazione: Gesù è schiodato dalla Croce e consegnato a sua Madre

Questa scena si ricorda tra la cappella della Crocifissione e quella del Calvario, in un altare dedicato a Nostra Signora dei Dolori.

Sommersa dal dolore, Maria sta accanto alla Croce. E Giovanni, con Lei. Ma si fa tardi, e i giudei insistono perché il Signore venga tolto da lì.
Dopo aver ottenuto da Pilato il permesso prescritto dalla legge romana per dare sepoltura ai condannati, giunge al Calvario un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatea, una città dei giudei, e aspettava il regno di Dio. (Lc 23, 50-51). Con lui viene anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portava una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre (Gv 19, 39).

Essi non erano conosciuti pubblicamente come discepoli del Maestro; non avevano presenziato ai grandi miracoli, e non l'avevano accompagnato nell'entrata trionfale in Gerusalemme. Adesso, nel momento brutto, quando gli altri sono fuggiti, non temono di dare la faccia per il loro Signore.
Insieme prendono il corpo di Gesù e lo depongono fra le braccia della sua Santissima Madre (Ibid., XIII Stazione).

Meditiamo su questo Signore, coperto di ferite per amor nostro (…). La scena che ci presenta questo Cristo ridotto a uno straccio, un corpo martoriato e inerte deposto dalla croce e affidato a sua Madre, è come il ritratto di una disfatta. Dove sono le folle che lo seguivano? Dov'è il Regno di cui annunciava l'avvento (…)? 

Ora, di fronte al Calvario, quando Gesù è morto e non si è ancora manifestata la gloria del suo trionfo, è il momento di esaminare i nostri desideri di vita cristiana, di santità; è il momento buono per riconoscere le nostre debolezze, e reagire con un atto di fede, confidando nel potere di Dio e facendo il proposito di vivificare con l'amore le cose della nostra giornata. L'esperienza del peccato ci deve condurre al dolore, a una decisione più matura, più profonda, di fedeltà, di vera identificazione con Cristo, di perseveranza ad ogni costo nella missione sacerdotale che Egli ha affidato a tutti i suoi discepoli senza eccezione, e che ci stimola a essere sale e luce del mondo.
È Gesù che passa...

Questi desideri di fedeltà si trasformeranno in opere se ricorriamo a Santa Maria che — dall'annuncio dell'Angelo fino alla sua agonia ai piedi della Croce — non ha avuto altro cuore né altra vita che quella di Gesù.
Dì: Madre mia – tua, perché sei suo per molti titoli –, il tuo amore mi leghi alla Croce di tuo Figlio: non mi manchi la Fede, né il coraggio, né l'audacia, per compiere la volontà del nostro Gesù.

 

XIV Stazione: Viene sepolto il Corpo di Gesù


Scendendo dal Calvario e tornando all’atrio della basilica, incontriamo la Pietra dell’Unzione, che è molto venerata dai cristiani ortodossi. Si tratta di una lastra di pietra rossiccia con venature bianche, che ricorda le cure che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo dedicarono al corpo di Gesù.


Io salirò con loro fino ai piedi della Croce, mi stringerò al Corpo freddo, al cadavere di Cristo, con il fuoco del mio amore..., lo schioderò con i miei atti di riparazione e con le mie mortificazioni..., lo avvolgerò nel lenzuolo nuovo della mia vita limpida, e lo seppellirò nel mio cuore di roccia viva, dal quale nessuno me lo potrà strappare, e lì, Signore, puoi riposare!
Quand'anche tutto il mondo ti abbandoni e ti disprezzi..., serviam! ti servirò, Signore!

Proseguendo verso ovest si arriva alla Rotonda, o Anastasis, il monumento circolare chiuso da una cupola, al cui centro si eleva la cappella con il sepolcro del Signore

Molto vicino al Calvario, in un orto, Giuseppe d'Arimatea si era fatto scavare nella roccia un sepolcro nuovo. Ed essendo la vigilia della grande Pasqua dei giudei, lì depongono Gesù. Poi, Giuseppe, rotolata una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò (Mt 27, 60).

Senza nulla di proprio Gesù è venuto al mondo, e senza nulla di proprio — neppure il luogo in cui riposa — ci ha lasciati.

La Madre del Signore — mia Madre — e le donne che hanno seguito il Maestro dalla Galilea, dopo aver osservato tutto attentamente, rientrano anch'esse. Cade la notte.

Adesso tutto è finito. L'opera della nostra Redenzione è compiuta. Ormai siamo figli di Dio, perché Gesù è morto per noi e la sua morte ci ha riscattati.
Empti enim estis pretio magno! (1 Cor 6, 20), tu e io siamo stati comprati a gran prezzo. Dobbiamo far diventare vita nostra la vita e la morte di Cristo. Morire per mezzo della mortificazione e della penitenza, perché Cristo viva in noi per mezzo dell'Amore. E dunque seguire le orme di Cristo, con l'anelito di corredimere tutte le anime.

Dare la vita per gli altri. Soltanto così si vive la vita di Gesù Cristo e diventiamo una sola cosa con Lui. (Ibid., XIV Stazione).


 

 

III - Gerusalemme: il Santo Sepolcro

Tracce della nostra fede


Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, venne Giuseppe, un uomo ricco di Arimatea (Mt 27,57), uomo buono e giusto, membro del Sinedrio, che non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri (Lc 23, 50-51). Era discepolo di Gesù, però nascostamente, per timore dei giudei (Gv 19,38). Coraggiosamente andò da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe (Mc 15, 43-45). Nicodemo, quello che era andato da Gesù nottetempo, venne anche lui portando una mistura di mirra e aloe, di cento libbre, più di trenta chili.

Presero il corpo di Gesù è lo avvolsero in lenzuoli, con gli aromi, come era costume dare sepoltura tra i giudei. Nel luogo dove fu crocifisso c’era un orto, e nell’orto un sepolcro nuovo in cui non era stato ancora sepolto nessuno (Gv 19, 39-41). Giuseppe lo aveva fatto scavare nella roccia (Mt 27, 60). Dato che era la Parasceve, e il sepolcro era vicino, posero lì Gesù (Gv 19, 42). Fecero rotolare una grande pietra all’ingresso del sepolcro e se ne andarono. Erano lì Maria Maddalena e l’altra Maria (Mt 27, 60-61), le donne che erano venute con lui dalla Galilea, e videro il sepolcro e come era stato sistemato il suo corpo. Rientrarono e prepararono aromi e unguenti. Il sabato riposarono secondo il precetto (Lc 23, 55-56).

Entrando nella basilica del Santo sepolcro, il pellegrino si trova in uno spazio limitato, chiuso da muri, che fa da atrio. Di fronte alla mancanza di prospettiva dell’insieme architettonico, la vista è attirata da quella che è conosciuta come la Pietra dell’Unzione, fiancheggiata da alti candelabri e decorata con una fila di lampade votive appese. Questa lastra, rialzata di alcuni centimetri dal pavimento, ai piedi del Calvario, aiuta a ricordare le pie cure che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo prestarono al corpo di Gesù dopo averlo schiodato dalla Croce.

Andando un po’ più avanti verso ovest, troviamo un piccolo monumento: una lastra circolare di marmo sul pavimento, coperta da un baldacchino. Secondo la tradizione, da questo punto le donne seguirono la deposizione e la sepoltura del Signore. Di fronte, attraversando un vano tra due enormi colonne, si accede alla Rotonda, o Anastasis, il mausoleo che Costantino fece costruire come cornice per la tomba di Gesù. Questa si trova al centro, al livello del pavimento della basilica, racchiusa in una cappella.

Le costruzioni hanno trasformato la zona e anche parte dello stesso sepolcro, ma grazie ai dati scritturistici e archeologici possiamo farci un’idea di come era nel primo secolo. Il Golgota era parte di una cava abbandonata. La tomba era stata scavata in una roccia di questa pietraia e presentava una bassa apertura sul lato est, quella che venne chiusa rotolando una grossa pietra, attraverso la quale probabilmente bisognava passare inginocchiandosi. Dopo uno stretto passaggio si entrava in un vestibolo, che a sua volta portava alla camera funeraria. Lì depositarono con premura il corpo del Signore, sopra un banco scavato sulla destra, nella parete nord, perché cominciavano a vedersi le luci del sabato (Lc 23, 54).


Il sepolcro vuoto

Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto» (Mc 16, 1-7).

Conosciamo bene i racconti evangelici delle apparizioni del Signore risuscitato: a Maria Maddalena, ai discepoli di Emmaus, agli Undici riuniti nel Cenacolo, a Pietro e ad altri apostoli sul mare di Galilea… Questi incontri con Gesù, che permisero loro di testimoniare il reale avvenimento della sua Resurrezione, furono preparati dalla scoperta del sepolcro vuoto. “La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il primo passo verso il riconoscimento dell'evento della Risurrezione (…). «Il discepolo... che Gesù amava» (Gv 20,2) afferma che, entrando nella tomba vuota e scorgendo «le bende per terra» (Gv 20,6), «vide e credette» (Gv 20,8). Ciò suppone che egli abbia constatato, dallo stato in cui si trovava il sepolcro vuoto, che l'assenza del corpo di Gesù non poteva essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato ad una vita terrena come era avvenuto per Lazzaro (Catechismo della Chiesa Cattolica, 640).

Anche per i primi cristiani la tomba vuota dovette costituire un segno essenziale. Possiamo immaginare che si avvicinassero a questo luogo con venerazione, lo contemplassero attoniti e gioiosi… A questi fedeli ne seguirono altri e altri, di modo che la memoria del luogo non andò perduta nemmeno quando l’imperatore Adriano rase al suolo Gerusalemme, nella prima metà del secondo secolo. Questa tradizione risuona con drammaticità in una relazione di Eusebio di Cesarea, in cui si descrivono i lavori auspicati da Costantino nel 325 e la scoperta della tomba di Gesù: “quando, tolto un elemento dopo l’altro, apparve il luogo in fondo alla terra, allora, contro ogni speranza, apparve il resto, cioè il venerato e santissimo testimone della resurrezione salvifica, e la grotta più santa di tutte riprese lo stesso aspetto della resurrezione del Salvatore. Di fatto, dopo essere stata sepolta nelle tenebre, tornò di nuovo alla luce, e a tutti quelli che venivano a visitarla lasciava intravedere la storia delle meraviglie compiute lì, testimoniando con fatti più sonori di qualunque voce la resurrezione del Salvatore” (Eusebio di Cesarea, De vita Constantini, 3, 28).

Gli architetti di Costantino isolarono la zona della tomba di Gesù e tagliarono la roccia in cui era stata scavata, di modo che il sepolcro rimase separato all’interno di un cubo di pietra. Lo rivestirono con un’edicola, e, facendone il centro, gli progettarono intorno un mausoleo di forma circolare – la Anastasis -, coperto da una grande cupola con un occhio. Per quanto questa struttura si sia conservata fino ai nostri giorni, pochi elementi risalgono alle opere originali.

La cappella deve il suo aspetto a un restauro realizzato nel 1810 dai cristiani greco-ortodossi, sebbene l’altare situato sul lato posteriore, che appartiene ai copti, risalga al XII secolo. Inoltre è puntellata con travi di acciaio dalla prima metà del XX secolo, a causa dei danni subiti durante un terremoto. Sopra il tetto piano dell’edicola si innalza una piccola cupola di stile moscovita, sostenuta da piccole colonne; la facciata è adornata di candelieri e lampade d’olio; e, sui lati, numerose iscrizioni in greco invitano tutti i popoli a lodare Cristo resuscitato.

L’interno consta di una camera e di una cameretta, comunicanti attraverso un’apertura bassa e stretta. La camera misura tre metri e mezzo di lunghezza per quattro di larghezza, e simula il vestibolo dell’ipogeo originale, che fu eliminato già al tempo di Costantino. Si chiama Cappella dell’Angelo in ricordo della creatura celeste che, seduta sulla grossa pietra che chiudeva il sepolcro, apparve alle donne per annunciare loro la resurrezione. Un pezzo di questa pietra è custodito al centro della stanza, in un piedistallo; fino alla distruzione della basilica nel 1009 per ordine di El-Hakin, si era conservata intera. La furia del sultano raggiunse anche la cameretta, che corrisponde esattamente al sepolcro del Signore, ma il danno fu presto riparato. La nicchia in cui Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo deposero il corpo di Cristo si trova sulla destra, parallela alla parete, coperta da lastre di marmo. Lì il terzo giorno resuscitò dai morti (Simbolo degli Apostoli). Si comprende perfettamente la devozione con cui i pellegrini entrano in questo piccolo spazio, dove è possibile celebrare la Santa Messa in alcune ore del giorno.

Fuori dalla Rotonda, nel complesso che i crociati costruirono sopra i resti del triportico e della basilica a cinque navate di Costantino, ci sono altre cappelle. Le più importanti sono quelle del Calvario; inoltre sono da segnalare: sul lato nord, proprietà della Custodia di Terra Santa, l’altare di Maria Maddalena e la cappella del Santissimo Sacramento, che è dedicata all’apparizione di Gesù resuscitato a sua Madre e conserva un frammento della colonna della Flagellazione; al centro della chiesa, al posto dell’antico coro dei canonici e aperto solo verso l’Anastasis, il così detto Katholikon, un ampio spazio che dipende dalla chiesa greco-ortodossa; dietro a questo, nel deambulatorio, le cappelle che ricordano gli improperi contro Gesù crocifisso, la divisione delle sue vesti e il colpo di lancia del soldato Longino; e, a un livello inferiore, la cappella di Sant’Elena, che appartiene alla chiesa armena, quella di San Vartàn, pure dei cristiani armeni, dove c’è un graffito di un pellegrino del II secolo, e quella del ritrovamento della Santa Croce.

Ciascuno spazio conserva la sua memoria. Certamente la cripta merita una spiegazione, poiché la tradizione colloca lì un evento importante: il ritrovamento della Croce da parte di Sant’Elena, la madre di Costantino, che andò a Gerusalemme poco prima di morire, verso l’anno 327. Sant’Ambrogio lo riferisce con grande forza poetica:

“Elena arrivò, cominciò a visitare i luoghi santi e lo Spirito le ispirò di cercare il legno della croce. Si diresse al Golgota e disse: ecco il luogo della contesa, dov’è la vittoria? Cerco lo stendardo della salvezza e non lo trovo. Io sto su un trono – disse – e la Croce del Signore nella polvere? Io in mezzo all’oro e il trionfo di Cristo in mezzo alle rovine? (…). Vedo quello che hai fatto, demonio, perché fosse sepolta la spada con cui sei stato annientato. Ma Isacco liberò i pozzi che erano stati ostruiti dagli stranieri e non permise che l’acqua rimanesse nascosta. Si sgombrino dunque le macerie, perché appaia la vita; sia sguainata la spada con cui è stata tagliata la testa del vero Golia (…). Cosa hai ottenuto diavolo, nascondendo il legno, se non di essere vinto un’altra volta? Ti vinse Maria, che generò il trionfatore, che diede alla luce, senza danno per la sua verginità chi, crocifisso, ti avrebbe vinto, e, morto, sottomesso. Anche oggi sarai vinto, in modo che una donna metta allo scoperto le tue insidie. Lei, come santa, portò nel suo seno il Signore; io cercherò la sua croce. Lei mostrò che era nato; io che è resuscitato” (Sant’Ambrogio, De obitu Theodosii, 43-44).

La narrazione continua con il ritrovamento di tre croci nascoste nel fondo di un’antica cisterna, che corrisponde all’attuale cappella dell’Invenzione. La Croce di Cristo poté essere riconosciuta grazie ai resti del titolo, l’iscrizione ordinata da Pilato, che fu pure trovato; un frammento di questa iscrizione è conservato nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Furono trovati anche alcuni chiodi: uno servì per forgiare la Corona ferrea degli imperatori, che è custodita a Monza, un altro è venerato nel Duomo di Milano, e un terzo nell’Urbe.


Cristo vive

In Terra Santa ci sono molti luoghi che conservano le tracce del passaggio del Signore, e sono state giustamente venerate lungo i secoli. Di certo nessuno è comparabile al Santo Sepolcro, il luogo stesso dove si verificò l’evento centrale della nostra fede: Ma se Cristo non è risuscitato – avvertiva già san Paolo i fedeli di Corinto -, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede (1 Cor 15, 14).

Cristo vive. Questa è la grande verità che riempie di contenuto la nostra fede. Gesù, che morì sulla Croce, è risorto, ha trionfato sulla morte, sul potere delle tenebre, sul dolore, sull'angoscia (…). Cristo non è un uomo del passato, che visse un tempo e poi se ne andò lasciandoci un ricordo e un esempio meravigliosi. No: Cristo vive. Gesù è l'Emmanuele, Dio con noi. La sua Risurrezione ci rivela che Dio non abbandona mai i suoi.

 

Benedetto XVI ha ripetuto in numerose occasioni e in modi diversi che all’origine della fede non c’è una decisione etica o una grande idea, e che nemmeno sono solo conoscenze quelle che noi fedeli dobbiamo trasmettere: “La fede cristiana come sappiamo nasce non dall'accoglienza di una dottrina, ma dall'incontro con una Persona, con Cristo morto e risuscitato. Nella nostra esistenza quotidiana, cari amici, tante sono le occasioni per comunicare agli altri questa nostra fede in modo semplice e convinto, così che dal nostro incontro può nascere la loro fede. Ed è quanto mai urgente che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano e incontrino Gesù e, grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da Lui” (Benedetto XVI, Regina Coeli, Lunedì di Pasqua, 9 aprile 2007). 

Cristo, mediante la sua Incarnazione, la sua vita di lavoro a Nazaret, la sua predicazione e i suoi miracoli nelle contrade della Giudea e della Galilea, la sua morte in Croce, la sua Risurrezione, è il centro della creazione, è il Primogenito e il Signore di ogni creatura.

La nostra missione di cristiani è di proclamare la regalità di Cristo, annunciandola con le nostre parole e le nostre opere. Il Signore vuole che i suoi fedeli raggiungano ogni angolo della terra. Ne chiama alcuni nel deserto, lontano dalle preoccupazioni della società umana, per ricordare agli altri, con la loro testimonianza, che Dio esiste. Ad altri affida il ministero sacerdotale. Ma i più li vuole in mezzo al mondo, nelle occupazioni terrene. Pertanto, questi cristiani devono portare Cristo in tutti gli ambienti in cui gli uomini agiscono: nelle fabbriche, nei laboratori, nei campi, nelle botteghe degli artigiani, nelle strade delle grandi città e nei sentieri di montagna (…). Ogni cristiano deve rendere presente Cristo fra gli uomini; deve agire in modo tale che quelli che lo avvicinano riconoscano il bonus odor Christi, il profumo di Cristo; deve comportarsi in modo che nelle azioni del discepolo si scorga il volto del maestro.

 

Pochi giorni dopo l’inizio del suo pontificato, durante la Pasqua, Papa Francesco si riferì a questa missione che spetta a ogni battezzato:

“Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle realtà concrete della storia e della società. Per questo mi sembra importante sottolineare quello che oggi domandiamo a Dio nella liturgia: «O Padre, che fai crescere la tua Chiesa donandole sempre nuovi figli, concedi ai tuoi fedeli di esprimere nella vita il sacramento che hanno ricevuto nella fede» (Oraz. Colletta del Lunedì dell’Ottava di Pasqua).

E’ vero, il Battesimo che ci fa figli di Dio, l’Eucaristia che ci unisce a Cristo, devono diventare vita, tradursi cioè in atteggiamenti, comportamenti, gesti, scelte. La grazia contenuta nei Sacramenti pasquali è un potenziale di rinnovamento enorme per l’esistenza personale, per la vita delle famiglie, per le relazioni sociali. Ma tutto passa attraverso il cuore umano: se io mi lascio raggiungere dalla grazia di Cristo risorto, se le permetto di cambiarmi in quel mio aspetto che non è buono, che può far male a me e agli altri, io permetto alla vittoria di Cristo di affermarsi nella mia vita, di allargare la sua azione benefica. Questo è il potere della grazia! Senza la grazia non possiamo nulla. Senza la grazia non possiamo nulla! E con la grazia del Battesimo e della Comunione eucaristica posso diventare strumento della misericordia di Dio, di quella bella misericordia di Dio” (Francesco, Regina Coeli, Lunedì di Pasqua, 1 aprile 2013).