Mons. Luigi Sartori e la Terra Santa - 1^ parte

Proponiamo l'intervento del prof. Ivano Cavallaro all'incontro di Avvento degli Amici di Terra Santa tenutosi a Marghera il 10 dicembre 2017 - E' stato diviso in 2 parti; questa prima parte è preceduta da una breve introduzione sulla figura del teologo Luigi Sartori e la seconda parte conterrà alla fine alcuni cenni storici della sua vita.

Iniziamo quindi... e buona lettura!

Nel mesi di agosto 2017 sono state sviluppate delle iniziative per ricordare la figura e la teologia di Luigi Sartori a dieci anni dalla morte (avvenuta il 2 maggio 2007), promosse dalla diocesi di Padova, la Facoltà teologica del Triveneto e la sua parrocchia natale di Roana (Altipiano di Asiago).

Per conoscere la figura di Mons. Sartori prendiamo spunto da alcune riflessioni emerse durante questo percorso commemorativo:

- una sintesi del convegno padovano, a cura Paola Zampieri, che racchiude, tra gli altri, l’intervento di Paolo Ricca, pastore valdese: «Sartori – ha dichiarato– non era un ripetitore di dottrine acquisite». Ogni posizione teologica era per lui un punto di partenza. Anche l’azione e il pensiero ecumenico di Sartori non era la ripetizione di acquisizioni statiche, ma «un guardare oltre se stessi verso una meta comune che è l’unità cristiana».

 

- significativo il ritratto che, di Luigi Sartori, ha fatto don Giovanni Brusegan, delegato della diocesi di Padova per l’ecumenismo-dialogo interreligioso e la pastorale della cultura, quando, ha illustrato le iniziative in programma: «Un uomo di grandi vedute, di mediazione avanzata e di apertura piena di speranza nei riguardi del mondo, del valore dell’approfondimento culturale, del nuovo, delle persone, delle correnti di pensiero». Un personaggio «portato a valorizzare molto il seme, l’inedito», ad aprire nuove strade, nuove piste di indagine. Secondo don Brusegan, Sartori ha mostrato «amore all’umanità nella sua interezza, l’amore alla verità, il rispetto per ogni piccolo contributo». «Si scopre sempre più il suo valore di maestro del pensiero, la sua profondità teologico-filosofica che ha lasciato un segno forte sulla diocesi e sui preti». Un’eredità che va salvaguardata, se Sartori stesso chiedeva a coloro che lo accompagnavano negli ultimi tempi: «Non dimenticatevi del mio pensiero».

E testimone di incontro e di condivisione personale con Mons. Sartori, è stato un nostro conosciutissimo Amico di Terra Santa, il prof. Ivano Cavallaro, che ha avuto modo di approfondire e assaporare in prima persona i contenuti teologici di Mons. Sartori, di cui, per altro, non manca di far partecipi tutti gli Amici di Terra Santa nelle varie occasioni di incontro.

Ultima in ordine di tempo è stato l’appuntamento di Avvento degli Amici di Terra Santa tenutosi a Marghera il 10 dicembre u.s. dal tema “L’immacolata – modello di vita evangelica”, dove il prof. Cavallaro ha presentato una intensa riflessione del rapporto di Mons. Sartori con alcuni luoghi significativi di Terra Santa, in particolar modo legati alla figura di Maria.

- 1^ parte

“L’amico teologo monsignor Luigi Sartori, convinto com’era che dopo la sua scomparsa sarebbe stato ricordato per i suoi incarichi ecclesiali o per il suo insegnamento ma non per la sua fede, mi lasciò, come in eredità, i quattro luoghi di Terra Santa dei quali si era nutrito fin dalla sua prima adolescenza, sull’esempio di suo padre, sagrestano della parrocchiale di Roana nel Vicentino.

In primissimo luogo Nazareth, nel punto esatto del Concepimento di Gesù in Maria, da lui ritenuto la cosiddetta Fontana della Vergine,  in base alla tradizione ortodossa. A seguire le tre conferme o echi, per altro importanti, di quel primo fondamentale avvenimento, ossia il luogo del Battesimo di Gesù (archeologicamente scoperto solo nell’estate del 1995 dal francescano Michele Piccirillo), il Calvario e - stranamente buon ultimo - il Santo Sepolcro.

Non sono un veggente e ,nel mio soggiorno di una settimana, senza sconti, nel mese di ottobre appena passato alla Fontana della Vergine, non ho visto la Madonna e neppure ne ho sentito la voce. Tuttavia l’ho capita più di prima sotto il faro luminoso della fede, meno dell’insegnamento del teologo amico.

Quel “pazzo della fede che più pazzo non si può” dello scrittore francese Georges Bernanos (Parigi, 20 febbraio 1888 – Neuilly-sur-Seine, 5 luglio 1948) , almeno con gli amici, quasi quasi si rammaricava che Gesù Bambino non fosse stato ucciso dalla notissima persecuzione di Erode perché in questo caso - si dice che osasse dire - il suo insegnamento in Maria sarebbe stato più chiaro e comprensibile. 

Sartori non  era mai arrivato a questo, ma da questo neppure era lontanissimo. Per un paio di motivi, almeno. Anzitutto, per la prima volta nella storia – non solo quella piccolissima del mondo, ma compresa anche quella del creato - Dio si era, nel Concepimento del Figlio, rivelato così come effettivamente era ed è, ossia Relazione. Una Relazione per così dire duplice: con Maria, rappresentativa dell’intera umanità e poi con la propria Famiglia Trinitaria,  essendo il Figlio stato inviato in Maria, da Lui come Padre attraverso lo Spirito Santo. Al confronto, il roveto ardente era stato un’autentica “bozza” o abbozzo, anche perché nell’Antico Testamento la Trinità non la trovi neppure a cercarla con il lanternino, neppure nel profeta che una ragazzina di Nazareth riteneva il più intelligente e sano di mente di tutti, ossia in quell’Osea (11,1-4) che lei stessa - in casa della cugina Elisabetta - aveva inserito nel suo Magnificat: suscepit Israel puerum suum ( ha preso in braccio  il suo bambino Israele).

 Osea 11
1
 Quando Israele era giovinetto,
io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
2 Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi. 
3 Ad Efraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
4 Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d'amore;
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare.

Ma, entrando in Maria, Dio non aveva rivelato come Relazione solo se stesso, ma anche la ragazzina che lo aveva accolto, a nome dell’intera nostra umanità. Motivo per cui, in quel momento, la morte veniva sconfitta in entrambe le sue drammatiche dimensioni: quella temporale in quanto così l’Eterno entrava nel tempo, per così dire eternizzandolo e quella spaziale perché (la morte) beffata nella sua essenza di fine delle relazioni, da Chi era la fine di tale fine, in quanto Relazione in persona.”