Gerusalemme: la Via Dolorosa

 

 

III - Gerusalemme: il Santo Sepolcro

Tracce della nostra fede


Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, venne Giuseppe, un uomo ricco di Arimatea (Mt 27,57), uomo buono e giusto, membro del Sinedrio, che non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri (Lc 23, 50-51). Era discepolo di Gesù, però nascostamente, per timore dei giudei (Gv 19,38). Coraggiosamente andò da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe (Mc 15, 43-45). Nicodemo, quello che era andato da Gesù nottetempo, venne anche lui portando una mistura di mirra e aloe, di cento libbre, più di trenta chili.

Presero il corpo di Gesù è lo avvolsero in lenzuoli, con gli aromi, come era costume dare sepoltura tra i giudei. Nel luogo dove fu crocifisso c’era un orto, e nell’orto un sepolcro nuovo in cui non era stato ancora sepolto nessuno (Gv 19, 39-41). Giuseppe lo aveva fatto scavare nella roccia (Mt 27, 60). Dato che era la Parasceve, e il sepolcro era vicino, posero lì Gesù (Gv 19, 42). Fecero rotolare una grande pietra all’ingresso del sepolcro e se ne andarono. Erano lì Maria Maddalena e l’altra Maria (Mt 27, 60-61), le donne che erano venute con lui dalla Galilea, e videro il sepolcro e come era stato sistemato il suo corpo. Rientrarono e prepararono aromi e unguenti. Il sabato riposarono secondo il precetto (Lc 23, 55-56).

Entrando nella basilica del Santo sepolcro, il pellegrino si trova in uno spazio limitato, chiuso da muri, che fa da atrio. Di fronte alla mancanza di prospettiva dell’insieme architettonico, la vista è attirata da quella che è conosciuta come la Pietra dell’Unzione, fiancheggiata da alti candelabri e decorata con una fila di lampade votive appese. Questa lastra, rialzata di alcuni centimetri dal pavimento, ai piedi del Calvario, aiuta a ricordare le pie cure che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo prestarono al corpo di Gesù dopo averlo schiodato dalla Croce.

Andando un po’ più avanti verso ovest, troviamo un piccolo monumento: una lastra circolare di marmo sul pavimento, coperta da un baldacchino. Secondo la tradizione, da questo punto le donne seguirono la deposizione e la sepoltura del Signore. Di fronte, attraversando un vano tra due enormi colonne, si accede alla Rotonda, o Anastasis, il mausoleo che Costantino fece costruire come cornice per la tomba di Gesù. Questa si trova al centro, al livello del pavimento della basilica, racchiusa in una cappella.

Le costruzioni hanno trasformato la zona e anche parte dello stesso sepolcro, ma grazie ai dati scritturistici e archeologici possiamo farci un’idea di come era nel primo secolo. Il Golgota era parte di una cava abbandonata. La tomba era stata scavata in una roccia di questa pietraia e presentava una bassa apertura sul lato est, quella che venne chiusa rotolando una grossa pietra, attraverso la quale probabilmente bisognava passare inginocchiandosi. Dopo uno stretto passaggio si entrava in un vestibolo, che a sua volta portava alla camera funeraria. Lì depositarono con premura il corpo del Signore, sopra un banco scavato sulla destra, nella parete nord, perché cominciavano a vedersi le luci del sabato (Lc 23, 54).


Il sepolcro vuoto

Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto» (Mc 16, 1-7).

Conosciamo bene i racconti evangelici delle apparizioni del Signore risuscitato: a Maria Maddalena, ai discepoli di Emmaus, agli Undici riuniti nel Cenacolo, a Pietro e ad altri apostoli sul mare di Galilea… Questi incontri con Gesù, che permisero loro di testimoniare il reale avvenimento della sua Resurrezione, furono preparati dalla scoperta del sepolcro vuoto. “La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il primo passo verso il riconoscimento dell'evento della Risurrezione (…). «Il discepolo... che Gesù amava» (Gv 20,2) afferma che, entrando nella tomba vuota e scorgendo «le bende per terra» (Gv 20,6), «vide e credette» (Gv 20,8). Ciò suppone che egli abbia constatato, dallo stato in cui si trovava il sepolcro vuoto, che l'assenza del corpo di Gesù non poteva essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato ad una vita terrena come era avvenuto per Lazzaro (Catechismo della Chiesa Cattolica, 640).

Anche per i primi cristiani la tomba vuota dovette costituire un segno essenziale. Possiamo immaginare che si avvicinassero a questo luogo con venerazione, lo contemplassero attoniti e gioiosi… A questi fedeli ne seguirono altri e altri, di modo che la memoria del luogo non andò perduta nemmeno quando l’imperatore Adriano rase al suolo Gerusalemme, nella prima metà del secondo secolo. Questa tradizione risuona con drammaticità in una relazione di Eusebio di Cesarea, in cui si descrivono i lavori auspicati da Costantino nel 325 e la scoperta della tomba di Gesù: “quando, tolto un elemento dopo l’altro, apparve il luogo in fondo alla terra, allora, contro ogni speranza, apparve il resto, cioè il venerato e santissimo testimone della resurrezione salvifica, e la grotta più santa di tutte riprese lo stesso aspetto della resurrezione del Salvatore. Di fatto, dopo essere stata sepolta nelle tenebre, tornò di nuovo alla luce, e a tutti quelli che venivano a visitarla lasciava intravedere la storia delle meraviglie compiute lì, testimoniando con fatti più sonori di qualunque voce la resurrezione del Salvatore” (Eusebio di Cesarea, De vita Constantini, 3, 28).

Gli architetti di Costantino isolarono la zona della tomba di Gesù e tagliarono la roccia in cui era stata scavata, di modo che il sepolcro rimase separato all’interno di un cubo di pietra. Lo rivestirono con un’edicola, e, facendone il centro, gli progettarono intorno un mausoleo di forma circolare – la Anastasis -, coperto da una grande cupola con un occhio. Per quanto questa struttura si sia conservata fino ai nostri giorni, pochi elementi risalgono alle opere originali.

La cappella deve il suo aspetto a un restauro realizzato nel 1810 dai cristiani greco-ortodossi, sebbene l’altare situato sul lato posteriore, che appartiene ai copti, risalga al XII secolo. Inoltre è puntellata con travi di acciaio dalla prima metà del XX secolo, a causa dei danni subiti durante un terremoto. Sopra il tetto piano dell’edicola si innalza una piccola cupola di stile moscovita, sostenuta da piccole colonne; la facciata è adornata di candelieri e lampade d’olio; e, sui lati, numerose iscrizioni in greco invitano tutti i popoli a lodare Cristo resuscitato.

L’interno consta di una camera e di una cameretta, comunicanti attraverso un’apertura bassa e stretta. La camera misura tre metri e mezzo di lunghezza per quattro di larghezza, e simula il vestibolo dell’ipogeo originale, che fu eliminato già al tempo di Costantino. Si chiama Cappella dell’Angelo in ricordo della creatura celeste che, seduta sulla grossa pietra che chiudeva il sepolcro, apparve alle donne per annunciare loro la resurrezione. Un pezzo di questa pietra è custodito al centro della stanza, in un piedistallo; fino alla distruzione della basilica nel 1009 per ordine di El-Hakin, si era conservata intera. La furia del sultano raggiunse anche la cameretta, che corrisponde esattamente al sepolcro del Signore, ma il danno fu presto riparato. La nicchia in cui Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo deposero il corpo di Cristo si trova sulla destra, parallela alla parete, coperta da lastre di marmo. Lì il terzo giorno resuscitò dai morti (Simbolo degli Apostoli). Si comprende perfettamente la devozione con cui i pellegrini entrano in questo piccolo spazio, dove è possibile celebrare la Santa Messa in alcune ore del giorno.

Fuori dalla Rotonda, nel complesso che i crociati costruirono sopra i resti del triportico e della basilica a cinque navate di Costantino, ci sono altre cappelle. Le più importanti sono quelle del Calvario; inoltre sono da segnalare: sul lato nord, proprietà della Custodia di Terra Santa, l’altare di Maria Maddalena e la cappella del Santissimo Sacramento, che è dedicata all’apparizione di Gesù resuscitato a sua Madre e conserva un frammento della colonna della Flagellazione; al centro della chiesa, al posto dell’antico coro dei canonici e aperto solo verso l’Anastasis, il così detto Katholikon, un ampio spazio che dipende dalla chiesa greco-ortodossa; dietro a questo, nel deambulatorio, le cappelle che ricordano gli improperi contro Gesù crocifisso, la divisione delle sue vesti e il colpo di lancia del soldato Longino; e, a un livello inferiore, la cappella di Sant’Elena, che appartiene alla chiesa armena, quella di San Vartàn, pure dei cristiani armeni, dove c’è un graffito di un pellegrino del II secolo, e quella del ritrovamento della Santa Croce.

Ciascuno spazio conserva la sua memoria. Certamente la cripta merita una spiegazione, poiché la tradizione colloca lì un evento importante: il ritrovamento della Croce da parte di Sant’Elena, la madre di Costantino, che andò a Gerusalemme poco prima di morire, verso l’anno 327. Sant’Ambrogio lo riferisce con grande forza poetica:

“Elena arrivò, cominciò a visitare i luoghi santi e lo Spirito le ispirò di cercare il legno della croce. Si diresse al Golgota e disse: ecco il luogo della contesa, dov’è la vittoria? Cerco lo stendardo della salvezza e non lo trovo. Io sto su un trono – disse – e la Croce del Signore nella polvere? Io in mezzo all’oro e il trionfo di Cristo in mezzo alle rovine? (…). Vedo quello che hai fatto, demonio, perché fosse sepolta la spada con cui sei stato annientato. Ma Isacco liberò i pozzi che erano stati ostruiti dagli stranieri e non permise che l’acqua rimanesse nascosta. Si sgombrino dunque le macerie, perché appaia la vita; sia sguainata la spada con cui è stata tagliata la testa del vero Golia (…). Cosa hai ottenuto diavolo, nascondendo il legno, se non di essere vinto un’altra volta? Ti vinse Maria, che generò il trionfatore, che diede alla luce, senza danno per la sua verginità chi, crocifisso, ti avrebbe vinto, e, morto, sottomesso. Anche oggi sarai vinto, in modo che una donna metta allo scoperto le tue insidie. Lei, come santa, portò nel suo seno il Signore; io cercherò la sua croce. Lei mostrò che era nato; io che è resuscitato” (Sant’Ambrogio, De obitu Theodosii, 43-44).

La narrazione continua con il ritrovamento di tre croci nascoste nel fondo di un’antica cisterna, che corrisponde all’attuale cappella dell’Invenzione. La Croce di Cristo poté essere riconosciuta grazie ai resti del titolo, l’iscrizione ordinata da Pilato, che fu pure trovato; un frammento di questa iscrizione è conservato nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Furono trovati anche alcuni chiodi: uno servì per forgiare la Corona ferrea degli imperatori, che è custodita a Monza, un altro è venerato nel Duomo di Milano, e un terzo nell’Urbe.


Cristo vive

In Terra Santa ci sono molti luoghi che conservano le tracce del passaggio del Signore, e sono state giustamente venerate lungo i secoli. Di certo nessuno è comparabile al Santo Sepolcro, il luogo stesso dove si verificò l’evento centrale della nostra fede: Ma se Cristo non è risuscitato – avvertiva già san Paolo i fedeli di Corinto -, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede (1 Cor 15, 14).

Cristo vive. Questa è la grande verità che riempie di contenuto la nostra fede. Gesù, che morì sulla Croce, è risorto, ha trionfato sulla morte, sul potere delle tenebre, sul dolore, sull'angoscia (…). Cristo non è un uomo del passato, che visse un tempo e poi se ne andò lasciandoci un ricordo e un esempio meravigliosi. No: Cristo vive. Gesù è l'Emmanuele, Dio con noi. La sua Risurrezione ci rivela che Dio non abbandona mai i suoi.

 

Benedetto XVI ha ripetuto in numerose occasioni e in modi diversi che all’origine della fede non c’è una decisione etica o una grande idea, e che nemmeno sono solo conoscenze quelle che noi fedeli dobbiamo trasmettere: “La fede cristiana come sappiamo nasce non dall'accoglienza di una dottrina, ma dall'incontro con una Persona, con Cristo morto e risuscitato. Nella nostra esistenza quotidiana, cari amici, tante sono le occasioni per comunicare agli altri questa nostra fede in modo semplice e convinto, così che dal nostro incontro può nascere la loro fede. Ed è quanto mai urgente che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano e incontrino Gesù e, grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da Lui” (Benedetto XVI, Regina Coeli, Lunedì di Pasqua, 9 aprile 2007). 

Cristo, mediante la sua Incarnazione, la sua vita di lavoro a Nazaret, la sua predicazione e i suoi miracoli nelle contrade della Giudea e della Galilea, la sua morte in Croce, la sua Risurrezione, è il centro della creazione, è il Primogenito e il Signore di ogni creatura.

La nostra missione di cristiani è di proclamare la regalità di Cristo, annunciandola con le nostre parole e le nostre opere. Il Signore vuole che i suoi fedeli raggiungano ogni angolo della terra. Ne chiama alcuni nel deserto, lontano dalle preoccupazioni della società umana, per ricordare agli altri, con la loro testimonianza, che Dio esiste. Ad altri affida il ministero sacerdotale. Ma i più li vuole in mezzo al mondo, nelle occupazioni terrene. Pertanto, questi cristiani devono portare Cristo in tutti gli ambienti in cui gli uomini agiscono: nelle fabbriche, nei laboratori, nei campi, nelle botteghe degli artigiani, nelle strade delle grandi città e nei sentieri di montagna (…). Ogni cristiano deve rendere presente Cristo fra gli uomini; deve agire in modo tale che quelli che lo avvicinano riconoscano il bonus odor Christi, il profumo di Cristo; deve comportarsi in modo che nelle azioni del discepolo si scorga il volto del maestro.

 

Pochi giorni dopo l’inizio del suo pontificato, durante la Pasqua, Papa Francesco si riferì a questa missione che spetta a ogni battezzato:

“Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle realtà concrete della storia e della società. Per questo mi sembra importante sottolineare quello che oggi domandiamo a Dio nella liturgia: «O Padre, che fai crescere la tua Chiesa donandole sempre nuovi figli, concedi ai tuoi fedeli di esprimere nella vita il sacramento che hanno ricevuto nella fede» (Oraz. Colletta del Lunedì dell’Ottava di Pasqua).

E’ vero, il Battesimo che ci fa figli di Dio, l’Eucaristia che ci unisce a Cristo, devono diventare vita, tradursi cioè in atteggiamenti, comportamenti, gesti, scelte. La grazia contenuta nei Sacramenti pasquali è un potenziale di rinnovamento enorme per l’esistenza personale, per la vita delle famiglie, per le relazioni sociali. Ma tutto passa attraverso il cuore umano: se io mi lascio raggiungere dalla grazia di Cristo risorto, se le permetto di cambiarmi in quel mio aspetto che non è buono, che può far male a me e agli altri, io permetto alla vittoria di Cristo di affermarsi nella mia vita, di allargare la sua azione benefica. Questo è il potere della grazia! Senza la grazia non possiamo nulla. Senza la grazia non possiamo nulla! E con la grazia del Battesimo e della Comunione eucaristica posso diventare strumento della misericordia di Dio, di quella bella misericordia di Dio” (Francesco, Regina Coeli, Lunedì di Pasqua, 1 aprile 2013).